Perché è profondamente sbagliato comparare Stati Uniti e Italia

11–17 minutes
  1. Introduzione
  2. Il sogno americano
  3. L’errore metodologico fondamentale
  4. Conclusione

Introduzione

Anche in questo caso, il post è stato triggerato da discussioni con amici, conoscenti ma, soprattutto, compagni di partito. Nel corso di queste chiacchierate, con una certa regolarità qualcuno se ne esce con un confronto tra l’Italia e gli USA da un punto di vista economico e/o sociale. Chi lo fa, solitamente usa questa comparazione per dimostrare la presunta superiorità degli Stati Uniti in questi ambiti. L’argomento è in sintesi una cosa di questo tipo:

  • In America è molto più facile intraprendere (non che ci voglia molto per essere un paese più business-friendly rispetto all’Italia…).
  • Il sistema premia il merito per cui c’è una più spiccata mobilità sociale e chiunque può diventare ricco sfondato grazie alle proprie capacità e al duro lavoro (sorvoliamo sul fatto che realizzarsi non per tutti significhi arricchirsi smodatamente …)
  • Il settore pubblico non è così invadente come nel Belpaese per cui gli spiriti animali del capitalismo possono esprimersi liberamente, sprigionando tutta la loro energia innovatrice e la loro capacità di creare di valore.

Ma l’argomento “definitivo” è quello secondo cui negli USA si vive decisamente meglio che in Italia. A supporto di questa tesi, le persone che ne sono convinte sciorinano solitamente il dato del reddito pro-capite, indiscutibilmente molto più alto negli Stati Uniti che nel mio paese.

Il sogno americano

Qualità di vita

Come sappiamo bene, la qualità della vita è faccenda ben più articolata di un semplice numero, seppur importante, e non può essere ricondotta al solo reddito per capita. Usare questo dato per determinare che in un posto si viva meglio che in un altro denota una visione miope, prettamente economicistica e che non tiene conto di tantissimi altri fattori che influenzano le nostre condizioni di vita. Proviamo a prenderne in considerazione qualcuno che mi sembra abbia una certa rilevanza.

Un indicatore sicuramente significativo di quanto bene vivano le persone è il tasso di depressione clinica. A questo riguardo, i dati degli USA sono agghiaccianti dalla prospettiva di un europeo:

Già questo da solo basterebbe per smontare la tesi. È chiaro che si può sostenere che, in una società così fortemente medicalizzata come quella americana, l’accesso alle figure professionali che possono decretare una diagnosi di questo tipo è di molto facilitato rispetto ad altri paesi e quindi è fisiologico che il numero di casi rispetto alla popolazione sia più alto. È anche vero, però, che le spese mediche da sostenere per accedere ai servizi sanitari sono generalmente più alte rispetto a tanti altri paesi occidentali. In definitiva, mi sembra comunque che questo tasso sia un indicatore piuttosto attendibile, dato che meglio di molti altri condensa efficacemente il reale malessere delle persone, al di là della ricchezza materiale di cui dispongono.

Anche per quanto concerne l’aspettativa di vita, altro efficace indicatore della condizione psicofisica complessiva, le cose non vanno meglio: 83.72 anni per l’Italia, 79.30 per l’America.

Macroeconomia

In questi 80 anni di vassallaggio nei confronti degli USA conseguente alla nostra sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale con annessa invasione da parte degli americani, la raffinatissima propaganda a stelle e strisce ha funzionato in maniera grandiosa. Dipingendo la terra dello zio Sam come una landa di opportunità, libertà, democrazia e, soprattutto, propserità economica senza precedent, ci ha inculcato il mito del sogno americano. Andiamo a vedere un po’ più da vicino come stanno le cose.

Ci vengono in aiuto due utili pagine1 dalle quali, nel momento in cui scrivo (Dicembre 2025), risulta che gli Stati Uniti e l’Italia sono piazzati come riassunto nella tabella seguente (i numeri tra parentesi tonde indicano la posizione in classifica).

MetricaStati UnitiItalia
Ricchezza mediana per abitante adulto [$]112.157 (15 / 164)113.754 (14 / 164)
Ricchezza media per abitante adulto [$]564.862 (4 / 164)220.216 (25 / 164)
Coefficiente di Gini [%]83,0 (130 / 164)67,8 (12 / 164)
GDP per capita (CIA) [$]75.500 (9 / 190)53.100 (29 / 190)

Nulla di nuovo: a fronte di una ricchezza individuale e di un prodotto interno lordo a persona in media nettamente più alti, appare evidente come la distribuzione sia di gran lunga più sbilanciata negli USA, dove è risaputo che c’è una forte concentrazione nella fascia più benestante.

Per quanto riguarda la bilancia commerciale, appare evidente il trend di un deficit in costante aumento, a parte qualche fenomeno transitorio conseguenza di sconquassi come la crisi del subprime e l’epidemia di COVID-19.

Un italiano si aspetterebbe che, almeno sul fronte del debito pubblico, riuscissimo a “stracciare” gli americani. Da questo grafico, vediamo come anche questo dato sia in peggioramento, stabilmente nell’intorno del 125% mentre scrivo. Ancora un piccolo sforzo e gli USA ci avranno battuto anche in questo.

Chiudo questo paragrafo con il debito privato. Seppure in calo, il rapporto debito privato/PIL degli Stati Uniti è oltre il 140%. Quello italiano è meno del 60%. Qui la differenza è davvero enorme, figlia di un sistema economico constantemente alimentato da una quota di debito inconcepibile per un popolo votato al risparmio come il nostro. Seppur più “allenati” a vivere costantemente con addosso un debito pesante, credo che gli Americani soffrano questa continua pressione e che questa contribuisca non poco a generare nel cittadino medio quel malessere di cui ho parlato in precedenza, alla luce della componente culturale germanica così presente nella società amaricana2.

L’errore metodologico fondamentale

Dati alla mano, appare evidente come il mito degli USA “paese più ricco del mondo” si possa smontare facilmente, nel senso che basta grattare un po’ sulla superficie per scoprire che il benessere effettivo del cittadino medio non è quello che viene dipinto magistralmente da buona parte della raffinatissima macchina della propaganda a stelle e strisce. Già questo basterebbe per demolire il famigerato sogno americano di cui sentiamo parlare fin da bambini e a cui gli stessi americani credono sempre meno. Ma, tra di noi, la percezione di come stiano effettivamente le cose è praticamente nulla. La narrazione dello zio Sam è un esempio di comunicazione multicanale (come la definirebbero i marketeer) al massimo livello, come dimostrano i suoi eccezionali risultati in termini di brand awareness. Gli esempi sono innumerevoli e c’è solo l’imbarazzo della scelta. Eccone alcuni:

  • Credere genuinamente che l’ONU, che non a caso ha sede su territorio americano, abbia davvero capacità e scopo la risoluzione pacifica dei conflitti tra le collettività.
  • Pensare che interventi come quello dell’ambasciata americana in Italia che ha bloccato in extremis la cessione del porto di Trieste ai cinesi siano motivati da ragioni economiche.
  • Ritenere che gli 80 anni di pace alle nostre spalle — cosa incredibile per un continente che si è letteralmente scannato per millenni — siano merito di noi europei, magicamente rinsaviti all’improviso, e non una conseguenza dell’imposizione della pax americana. Dovessero gli americani veramente ritirarsi dalla vecchia Europa, assisteremmo ad uno sconquasso del tutto simile a quello avvenuto nell’area del Patto di Varsavia nei decenni susseguenti all’implosione dell’Unione Sovietica.
  • Reputare che il mancato rinnovo del Memorandum con la Cina sia una decisione presa autonomamente dal nostro paese.
  • Essere davvero convinti della necessità e dell’opportunità di un’opera di diffusione dei diritti umani, delle libertà civili, ecc., a tutte le latitudini, come se ai paesi non occidentali gliene importasse qualcosa e non fosse invece da questi percepita come l’ennesima azione colonizzatrice dell'”uomo bianco”. Mossa per giunta dalla peggiore forma di razzismo, quella cioè per cui ci si ritiene antropologicamenete superiori agli altri e quindi in dovere di spiegare loro come si deve stare al mondo, come se queste civiltà non fossero state in grado di vivere bellamente per migliaia e migliaia di anni in accordo con la propria visione della società, infischiandosene dei nostri “valori”.
  • Chiudo questo elenco con l’esempio più incredibile: pensare davvero che l’Italia sia un paese a piena sovranità e che, come tale, possa ad esempio decidere autonomamente di uscire dalla NATO!

Ma questo è ancora poco, a mio avviso, rispetto alla gravità dell’errore metodologico che commette chi si ostina a comparare l’Italia agli USA. Come avrebbe detto la mia maestra delle elementari quando ci insegnava cosa sono le unità di misura: “non si sommano pere con mele”.

Nel caso dell’Italia, stiamo parlando di un paese profondamente post-storico, sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale proprio per mano degli USA che, non solo ci hanno invaso, ma che da allora non se ne sono più andati, camuffando abilmente la nostra colonizzazione e la loro presenza militare sul nostro territorio con l’invenzione della NATO, astutissimo escamotage che ammanta tutta l’operazione di una nube rassicurante. E’ davvero incredibile quanti siano, ancora oggi, i connazionali che non se ne rendono conto e che credono davvero che, all’interno di questa coalizione, paesi geopoliticamente insignificanti come il nostro dialoghino da pari con una potenza come quella americana. Queste persone pensano, ad esempio, che nel recente braccio di ferro con l’amministrazione americana in relazione si dazi, il nostro paese fosse realmente in una posizione tale da poter ricattare la controparte o comunque negoziare ad armi pari. Ci si rende conto che il disavanzo della bilancia commerciale di cui al paragrafo precedente serve proprio per avere il coltello dalla parte del manico in situazioni come questa nei confronti di paesi che vivono grazie all’export come l’Italia? Sono consapevoli del fatto che basta una telefonata alle agenzie di rating USA per far diventare il nostro debito pubblico “spazzatura”, con conseguente vendita automatica, come da statuto, dei nostri titoli di stato da parte degli investitori istituzionali, ovvero default sovrano garantito?

Per quanto riguarda gli USA, siamo di fronte all’unica potenza egemonica oggi esistente su scala planetaria. Potenza che può essere in linea di principio messa in discussione solo dalla Cina, ammesso e non concesso che questa riesca a trasformare la propria potenza economica in geopolitica su scala mondiale, prima che la propria popolazione non sia troppo vecchia per affrontare una simile impresa, visto il prezzo che un’opera di questa portata esige da tutta la popolazione, non solo dalle fasce coinvolte direttamente in un eventuale sforzo bellico.

Da questo abisso “antropologico” esistente tra i due paesi conseguono scale di priorità completamente diverse. Per noi l’economia, intesa come strumento attraverso il quale perseguire il miglioramento del benessere materiale, è l’obiettivo ultimo, il fine quasi assoluto delle nostre esistenze. Poco importa se una vita votata alla crescita economica ci condanna inevitabilmente all’irrilevanza geopolitica e, quindi, all’oblio. Fin da piccoli, siamo bombardati da una visione economicistica che permea tutta la nostra vita, per cui tutto viene visto alla luce di PIL, reddito procapite, fatturato, utile e, in ultima analisi, denaro.

Agli antipodi sta invece la percezione del proprio ruolo nel mondo degli americani. Come ho scritto qui, per l’americano medio — esattamente come per gli altri popoli che anelano ad un’ascesa imperialista — l’egemonia planetaria è il fine ultimo, interpretato come missione universalistica di civilizzazione e portatrice dei soliti, nobilissimi valori di cui noi occidentali siamo soliti riempirci ipocritamente la bocca come libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. Strumento formidabile per poter entrare nella Storia con la esse maiusola e ambire così alla gloria eterna. Nella visione americana, l’economia è certamente importante, ma sempre e comunque subordinata al perseguimento degli interesi strategici, per il cui raggiungimento essa è un mezzo, mai un fine. E il paradosso clamoroso è che la percezione che l’italiano medio ha degli USA è invece quella di un paese, esattamente come il nostro, in cui l’economia regna sovrana e in cui tutto è funzione del business come inevitabilmente deve essere per i campioni del capitalismo. Frastornati dal racconto quotidiano delle big-tech, di Wall Street e del NASDAQ, delle classifiche di Forbes che esibiscono le persone più ricche del pianeta, delle innovazioni tecnologiche sfornate a getto continuo dalla Silicon Valley, degli startupper diventati miliardari partendo dal garage di casa, siamo fermamente convinti che la società americana viva esclusivamente in funzione del biglietto verde. Faccio però notare che, pur con le evidenti differenze, anche negli USA come in Cina c’è un misto di capitalismo liberista estremo, sapientemente mescolato a forme di socialismo che fanno impallidire persino l’Italia, dove notoriamente lo Stato interviene direttamente o indirettamente in una fetta rilevantissima del PIL. Si pensi ad esempio ai fiumi di denaro pubblico che gli americani non esitano ad erogare ogniqualvolta avviene qualche evento di portata tale da incrinare potenzialmente la fiducia nel sistema o quando lo Stato federale interviene fulmineamente nell’economia se si avverte che uno dei propri interessi strategici possa essere in pericolo, anche se questo significa incenerire i sacri dogmi del mercato che si autoregola per le innate virtù dei soggetti privati che vi operano. Per non parlare della montagna di denaro pubblico che, in forma più o meno diretta, alimenta la ricerca di base svolta da istituzioni pubbliche e società private, condizione necessaria per mantenere quella superiorità scientifica e tecnologica indispensabile per la conquista della supremazia militare, come nel caso dell’ormai onnipresente Intelligenza Artificiale e dell’attualissima nuova corsa allo spazio.

Conclusione

La nostra condizione di osservatori naïf è naturalmente figlia dello status di vassallo e dimostra chiarissimamente quanto efficace sia stata l’opera degli USA negli 80 anni che hanno seguito l’ultimo conflitto mondiale. Neutralizzata qualsiasi nostra velleità geopolitica, abbiamo perseguito con convinzione e impegno il benessere economico — i risultati sono evidenti, essendo l’Europa occidentale una delle aree migliori al mondo da questo punto di vista —, finendo in un torpore ovattato che ci ha però fatto dimenticare quali siano i processi rilevanti che determinano il corso della Storia. Il mio scopo non è certo quello di convincere chi continua a pensare che non ci siano incongruenze metodologiche nel mettere a confronto Italia e USA. Credo però che i dati ed i fatti riassunti in questo articolo siano più che sufficienti almeno per insinuare qualche dubbio nella mente di chi la pensa diversamente. In fondo, uno degli scopi principali del blog è proprio questo.

Tornando alla questione del superamento del post-storicismo in cui siamo caduti, la guerra scoppiata nei Balcani negli anni ’90, quindi a un tiro di schioppo dai nostri confini, non sembra aver avuto alcun effetto, nonostante la prossimità geografica. Per farci parzialmente risvegliare, ci sono voluti quasi 4 anni di guerra in Ucraina in seguito all’invasione russa e la brutalità dell’amministrazine Trump nel prenderci a schiaffi, notificandoci i dazi che ci sono stati affibbiati — curioso per un “alleato”, no? — e il presunto disimpegno americano dal teatro europeo. Improvvisamente ci siamo scoperti inermi e indifesi. Abbiamo cominciato a capire che la nostra prosperità economica è figlia in buona misura non solo del ruolo di compratore di ultima istanza svolto dagli USA rispetto alle nostre merci3, ma anche dal fatto che in sostanza hanno svolto per noi lo sporco lavoro necessario per la nostra sicurezza, attività che generalmente comporta voci di spesa piuttosto pesanti nei bilanci nazionali. Qualcuno persino sta realizzando finalmente che l’Unione Europea — altra scaltra costruzione made in USA — non può che essere destinata alla sostanziale irrilevanza geopolitica, non essendo un soggetto dotato di forza militare. A quanto pare, ci vorrà però ancora molto tempo per destarci del tutto. Ancora oggi, in pochi si rendono conto che nazioni a noi vicine e che hanno mantenuto una postura geopolitica degna di questo nome non sono state certo a guardare e — pur essendo a noi formalmente “alleate”! — non hanno esitato minimamente a perseguire i propri obiettivi strategici, noncuranti di supposti rapporti di buon vicinato. Emblematico il caso della Turchia, ad esempio, che ci ha accerchiato sul versante sud-orientale, sottraendo a noi ed altri aree di influenza talmente ampie da essere diventata il nemico numero uno persino di Israele, scalzando l’Iran in questo ruolo. E, per giunta, il nosto governo sedicente sovranista cosa ha pensato bene di fare? Vendere un’azienda strategica come Piaggio Aerospace proprio ai turchi (sic), probabilmente per un classico e miope do ut des che ha avuto come contropartita l’annullamento della chiusura degli stabilimenti su suolo italiano di proprietà di Beko, modus operandi tipico di una classe politica che non sa vedere oltre la prossima tornata elettorale. Che fare quindi? Argomento complicatissimo per un nuovo post che conto di pubblicare a breve.


  1. https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_wealth_per_adult#By_country; https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_GDP_(PPP)_per_capita ↩︎
  2. Contrariamente a quanto si pensi, la componente etnica preponderante negli USA è quella germanica. In tedesco, la stessa parola significa sia “colpa” che “debito”: https://www.ilpost.it/2015/07/08/schuld-colpa-debito/ ↩︎
  3. Metodo classico per creare dipendenza economica dei vassalli rispetto al soggetto egemone. ↩︎

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